Durante un’intervista rilasciata nei giorni scorsi a Repubblica Tv a proposito delle “leggi da salvare” che, secondo il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, bisognerebbe approvare prima della prossima fine della legislatura, il segretario del Pd Matteo Renzi ha detto che verranno approvate le leggi sullo ius soli ed il testamento biologico, ma ha chiuso ogni porta alla legalizzazione della cannabis, dicendo in puro politichese che alla Camera “non ci sono i numeri”.
È la parola fine sulla proposta di legge presentata dal mitico “gruppo interparlamentare” guidato dall’ex radicale, ex Forza Italia, ex montiano e ora neorenziano Benedetto Della Vedova che, per un paio di anni, ha fatto sperare i fumatori più ingenui che presto sarebbe finita l’era della persecuzioni e che avrebbero potuto coltivarsi le proprie piantine sul balcone o andare a comprarsi erba e fumo dal coffeeshop dietro l’angolo. A futura memoria, va detto che la proposta di legge di Della Vedova ecc. sembrava veramente perfetta per il Pd “partito dei diritti civili ma non troppo” (come si è visto sulle unioni civili e sulla tortura e come si vedrà sullo ius soli e sul testamento biologico). Di impronta sinceramente securitario-proibizionista-perbenista, se la Legge Della Vedova fosse stata approvata, i consumatori di cannabis avrebbero dovuto registrarsi se avessero voluto coltivare, mentre avrebbero continuato a perdere la patente e in alcuni casi anche il lavoro. Non avrebbero neanche potuto fumare in pubblico (“in pubblico” in genere e non solo negli spazi in cui non si può fumare tabacco) e, come più volte denunciato dagli attivisti romani della Million Marijuana March italiana, il complicato sistema di licenze previsto dalla proposta di legge faceva presagire un sistema di monopolio della cannabis che sembrava studiato apposta per fare della ganja un business in cui sarebbero potute entrare solo le aziende più potenti e danarose.
Il PD aveva appoggiato blandamente la proposta Dalla Vedova quando i big media assicuravano che presto negli USA la marijuana sarebbe diventata legale, con gli Stati che uno dopo l’altro la legalizzavano non solo a scopo medico ma anche a fini ricreativi, ma ora ha deciso di metterla nel cassetto che gli stessi big media dicono che con Trump alla Casa Bianca non c’è più niente da fare e che, presto, la cannabis tornerà ad essere proibita anche negli Stati che l’hanno già legalizzata.
La situazione statunitense, a dire la verità, non è così semplice. Per le leggi federali USA la marijuana è totalmente illegale ed è inserita nella tabella delle droghe di classe A proibite anche per l’utilizzo farmacologico, tabella che comprende anche l’eroina e la cocaina. Attualmente, però, ci sono 9 Stati dove, in seguito a dei referendum è legale la cannabis anche per uso ludico e in Alaska, Oregon, Colorado e Stato di Washington la vendita legale è già iniziata da diverso tempo senza creare particolari problemi, mentre in atri 29 Stati è legale a fini terapeutici, il che significa nella maggior parte dei casi una legalizzazione de facto visto che per avere la Medical Marijuana Card necessaria per coltivarsi l’erba o per andarla a comprare nei “dispensari”, basta la prescrizione di un qualunque medico per qualunque tipo di patologia. A questi va aggiunto il 51mo non-Stato, Portorico, dove, in seguito alle proteste degli antiproibizionisti nell’estate dello scorso anno, è stata approvata una legge che depenalizza completamente il consumo e la detenzione di cannabis ed anche la coltivazione in proprio e la “piccola vendita”, per cui non si rischiano più carcere o multe e neppure il sequestro delle sostanze. Il resto degli USA si divide tra gli Stati dove il consumo, la detenzione e a volte anche la coltivazione di marijuana sono depenalizzati e sanzionati solo con multe e quelli, che sono quasi tutti nel Midwest ma che comprendono nell’elenco anche le Hawaii patria di Obama, dove si vive ancora ai tempi di Reagan e si rischia la galera per pochi grammi (e nelle Hawaii anche per essere trovati in possesso di un bong o di un chilum).
Le stesse posizioni di Trump sulla cannabis sono piuttosto ambigue. Durante la campagna elettorale, Trump aveva sostenuto che la legalizzazione della marijuana fosse una materia statale, non federale e si era dichiarato completamente a favore dell’uso terapeutico della cannabis. Come vicepresidente aveva però scelto l’ultrareazionario Mike Pence che, quand’era governatore dell’Indiana, aveva chiesto l’intervento del FBI e delle forze amate americane contro il Colorado e l’Oregon dopo la vittoria dei refendum pro-cannabis. Ha pure preso, come ministro della giustizia, Jeff Sessions, da sempre ferreo sostenitore della War On Drugs. Sessions il mese scorso ha invitato il Congresso ad aumentare gli sforzi per bloccare la legalizzazione, sollecitando anche un giro di vite sulle imprese e sui privati negli Stati in cui la marijuana medica è ammessa. Questa posizione è stata condivisa anche dal ministro della Sicurezza nazionale, il generale dei marines John Kelly che ha annunciato la creazione di una task force per intervenire “velocemente” negli Stati dove è già iniziata la vendita legale di cannabis.
Di fatto, però, l’intervento diretto o delle agenzie federali negli Stati che hanno legalizzato la cannabis creerebbe una situazione senza precedenti dopo la fine della Guerra di Secessione; il primo effetto dell’approccio interventista è stato che il governo della California ha ordinato alla State Police e alle polizie locali di non collaborare più con le polizie federali nelle indagini riguardanti la cannabis. È tutto da capire se Trump e i suoi complici abbiano davvero voglia di imbarcarsi in una Seconda Guerra Civile Americana ora che sono oggetto di un’opposizione che non ha precedenti nella storia statunitense (da novembre ad ora le manifestazioni continuano ininterrottamente con centinaia di migliaia di persone che scendono in piazza ogni settimana). Così, pochi giorni dopo le dichiarazioni di guerra al Congresso di Sessions e di Kelly, il parlamento del Vermont in seguito alle pressioni dei gruppi antiproibizionisti – che avevano dato vita tra l’altro a una rete di Cannabis Social Club autogestiti sul modello spagnolo – ha approvato una legge sull’uso ricreativo di cannabis che consentirà l’apertura dei dispensari per la vendita al dettaglio di marijuana a tutti i cittadini maggiori di 21 anni, nonché la coltivazione personale di massimo 4 piante.
Dall’altra parte del confine, in Canada, il Parlamento ha votato una legge che fissa al 1° luglio 2018 la data in cui nel paese sarà possibile la vendita legale di cannabis, mentre sono già state abolite le norme che sanzionavano il consumo, la detenzione e la coltivazione per uso personale. Significativo è anche quello che è successo in Africa nello Zambia. In seguito ai movimenti giovanili contro i soprusi della polizia soprattutto verso i fumatori di cannabis (molto diffusa nello Zambia che, secondo un’indagine ONU, è uno dei dieci paesi al mondo dove si fuma più erba, con una percentuale di consumatori abituali di cannabis tra gli adulti del 9,5%) che hanno dato vita ad intense proteste, soprattutto nella capitale Lusaka, il ministro dell’Interno ha firmato un decreto per modificare le leggi sulle droghe e le sostanze psicotrope che limita i poteri degli agenti e che ha reso legale la coltivazione di cannabis a scopo medico, per cui sarà necessario ottenere una licenza rilasciata dalle autorità competenti dietro presentazione di una certificato o di una dichiarazione “del paziente”. La legge apre quindi all’autocoltivazione di cannabis per senza specificare il numero di piante ma limitandosi a dire che non potrà avere un carattere commerciale, mentre anche lo Stato avvierà delle coltivazioni con la distribuzione di cannabis tramite le farmacie.
Nonostante questi progressi, però, la fine della War On Drugs liberticida e assassina è ben lunga da essere all’orizzonte. Mantenere una serie di sostanze nell’illegalità consente da una parte alle narcomafie di realizzare guadagni enormi (al netto dei costi di produzione, se non ci fossero le leggi antidroga, la ganja costerebbe quanto l’origano e l’eroina quanto l’aulin), che poi finiscono nelle banche e nel circuito dell’economia ufficiale e consente un’enorme potere degli apparati polizieschi e giudiziari su una larga fetta di propri concittadini colpevoli di consumare sostanze proibite.
Recentemente, a proposito dell’inchiesta aperta dalla procura di Massa Carrara su presunti pestaggi e abusi sessuali da parte di carabinieri in servizio in Lunigiana, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha dichiarato che “il problema degli abusi delle forze di polizia in Italia esiste” e che lo dimostrano proprio i “particolari sconcertanti dell’inchiesta, soprattutto riguardo alla riferita sistematicità dei presunti comportamenti criminali”. Tra i reati contestati ai carabinieri a vario titolo ci sono lesioni, falso in atto pubblico, sequestro di persona, violenza sessuale, per un totale ben 104 capi di imputazioni. Tra gli episodi riferiti dalla stampa ci sono la storia del ragazzo marocchino violentato durante una perquisizione antidroga, il caso di un clochard caricato a forza sull’auto di servizio e manganellato, lo stupro di una giovane prostituta e decine pestaggi in caserma dove, sempre secondo le accuse, venivano falsificati i verbali. Quasi tutte le vittime di questi episodi erano persone conosciute come consumatori di sostanze proibite.
Quando a marzo sono uscite le prime notizie sull’inchiesta in corso, il Pd di Aulla e di Albiano Magra ha immediatamente promosso una manifestazione cittadina a sostegno dell’Arma, mentre sui social media i suoi principali esponenti cittadini si lanciavano in dichiarazioni contro le vittime della violenza poliziesca, i loro familiari, i giornalisti e i migranti di fede islamica, mentre l’intero territorio della Lunigiana veniva tappezzato di manifesti a sostegno dei carabinieri indagati. Senza quelle leggi che i giuristi definiscono “sui crimini senza vittime” ( come quelle proibizioniste e quelle sull’immigrazione che consentono di colpire milioni di persone che hanno la sola colpa di consumare sostanze proibite o di essere nate in un altro paese), probabilmente sarebbero meno diffuse violenze come quelle che si sono consumate nelle caserme dei Carabinieri in Lunigiana, ma sarebbe enormemente minore il potere degli apparati di polizia. Il partito dei “diritti civili ma non troppo” serve solo a turlupinare le anime belle e molto gonze, mentre stare dalla parte dei torturatori e degli stupratori in divisa è nel DNA profondo del Pci-Pds-Ds-Pd che, per tutta la storia della Repubblica Italiana, è stato l’infame garante dell’ordine costituito.
Robertino